LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI MILANO 
                             Sezione 34 
 
riunita con l'intervento dei signori: 
    Targetti Riccardo, Presidente; 
    Guida Luigi, relatore; 
    Malacarne Marta Chiara, giudice, 
ha emesso la seguente ordinanza sull'appello n. 2484/2015  depositato
il 14 aprile 2015, avverso  la  sentenza  n.  7622/2014,  Sezione  41
emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Milano; 
    Contro: 
        Agente di riscossione Milano Equitalia Nord S.P.A., difeso da
Papa Malatesta Alfonso Maria, piazza Barberini, 12 - 00100 Roma; 
    proposto dagli appellanti: 
        Dolce & Gabbana Trademarks Srl con socio  unico,  (gia'  GADO
Srl con socio unico) - via Carlo Goldoni n. 10 - 20129 Milano  -  MI,
difeso da Boccalatte Gianluca, dr.  David  Secondo  Domizioli,  corso
Europa, 2 - 20155 Milano -  MI,  difeso  da  Briguglio  Eugenio,  dr.
Davide Secondo Domizioli, corso Europa, 2 - 20149 Milano - MI; 
    atti  impugnati:  cartella  di  pagamento  n.   06820110408249309
IRES-ALTRO 2004. 
    Ordinanza ex art. 23 legge 11 marzo 1953,  n.  87  di  rimessione
alla   Corte   costituzionale   della   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 17 del decreto legislativo 13  aprile  1999,
n. 112, cosi' come  modificalo  dall'art.  32  del  decreto-legge  29
novembre 2008, n. 185, convertito nella legge 28 gennaio 2009, n. 2. 
    Nel procedimento n. 2484/15 R.G.A. tra le parti: 
        Dolce & Gabbana Trademarks s.r.l. con socio unico, (gia' GADO
s.r.l. con socio unico); 
        Equitalia Nord s.p.a.; 
per l'annullamento della cartella di pagamento n. 068  2011  04082493
09, recante imposte iscritte a ruolo (ruolo  2011/003072)  IRPEG/IRAP
anni 2004 e 2005, oltre  interessi,  a  seguito  di  decisione  della
Commissione tributaria regionale della Lombardia. Nel  dettaglio,  le
cifre riportate nell'atto impugnato: 
    anno 2004: 
        imposte e interessi iscritti a ruolo € 3.522.572,53; 
        compensi di riscossione € 163.799,62; 
    anno 2005: 
        imposte e interessi iscritti a ruolo € 5.994.784,70; 
        compensi di riscossione € 278.757,48; 
    totale importo dei compensi di riscossione: 
        per pagamento entro i sessanta giorni € 442.557,10; 
        per pagamento oltre i sessanta giorni € 856.562,16. 
 
                    Svolgimento del procedimento 
 
    Dolce & Gabbana, ricevuta la cartella di pagamento, provvedeva al
pagamento delle somme dovute e proponeva  ricorso  nei  confronti  di
Equitalia Nord per l'annullamento della cartella nella parte  in  cui
veniva richiesto il pagamento  di  somme  a  titolo  di  compensi  di
riscossione. Poiche' il pagamento della somma dovuta  avveniva  entro
sessanta giorni dalla notifica della cartella, l'entita' del compenso
di riscossione ammontava alla (peraltro non certo irrilevante)  somma
di € 442.557,10,  puntualmente  versata  e  di  cui  la  contribuente
chiedeva la restituzione. 
    Nel ricorso  Dolce  &  Gabbana  eccepiva  l'illegittimita'  della
cartella perche' applicava retroattivamente  l'art.  17  del  decreto
legislativo  13  aprile  1999,   n.   112   che,   nelle   successive
modificazioni, e' in vigore a partire dal 1° gennaio 2009. Come si e'
infatti visto, i tributi omessi a cui  si  riferisce  la  pretesa  di
Equitalia risalgono ad anni di imposta precedenti.  In  subordine  la
contribuente  eccepiva  l'illegittimita'   costituzionale   di   tale
disposizione di legge. 
    Equitalia si costituiva, ricordando che l'entita' del compenso di
riscossione e' determinato per legge e si  applica  (come  in  questo
caso) alle cartelle emesse dopo il 31 dicembre 2008 e chiedeva quindi
il rigetto del gravame. 
    La Commissione tributaria provinciale di  Milano -  Sezione  41 -
con sentenza n. 7622/41/14 del 2 aprile  2014 -  19  settembre  2014,
respingeva il ricorso e condannava il ricorrente al  pagamento  delle
spese di lite, liquidate complessivamente in € 2.000,00. 
    La contribuente  impugnava  la  sentenza  per  illegittimita'  ed
infondatezza: 
        in   via   principale,   perche' -   stabilita   la    natura
sanzionatoria dei compensi di riscossione - doveva essere  dichiarata
l'irretroattivita' del «nuovo» art. 17, che, come detto,  e'  entrato
in vigore dal 1° gennaio 2009; 
        in  via  subordinata  perche'  non  ravvisava   nella   norma
applicata al caso dedotto la violazione di principi costituzionali. 
    L'appellante  chiedeva  dunque  a  questa  Commissione  regionale
tributaria di sospendere il presente giudizio in attesa che la  Corte
costituzionale, adita dalle  Commissioni  tributarie  provinciali  di
Torino (ordinanza del 18 dicembre 2012) e Latina  (ordinanza  del  29
gennaio 2013), si pronunciasse in merito alla rilevata illegittimita'
costituzionale  dell'art.  17  per  violazione  dell'art.   3   della
Costituzione. In ogni caso, Dolce & Gabbana chiedeva di rimettere gli
atti alla Corte costituzionale perche' si pronunciasse, con  riguardo
ai compensi per  la  riscossione,  sulla  questione  di  legittimita'
costituzionale del citato art. 17 per violazione degli articoli  3  e
97 della Costituzione. 
    La causa veniva discussa  in  pubblica  udienza.  La  Commissione
tributaria regionale si  riservava  la  decisione.  Con  la  presente
ordinanza si eccepisce l'illegittimita' costituzionale  della  citata
disposizione di legge per contrasto con: 
        l'art. 3, primo comma perche' crea ingiustificata  disparita'
di trattamento tra contribuenti; 
        l'art. 24, primo comma perche' dissuade  il  contribuente  (e
quindi ostacola il diritto) ad agire in giudizio a tutela dei  propri
diritti e interessi legittimi; 
        l'art. 97, primo  comma  perche'  a  causa  sua  la  funzione
pubblica di riscossione non risulta organizzata  secondo  criteri  di
imparzialita'. 
 
                          Motivi di diritto 
 
    Prima di affrontare la questione di legittimita'  costituzionale,
e' necessario considerare quanto segue: 
        come  visto,  il  ricorso  della  contribuente  riguarda  una
cartella  esattoriale,  emessa  a  seguito  di  definitiva  pronuncia
giurisdizionale sui redditi e le imposte degli anni 2004 e 2005; 
        l'atto non viene  impugnato  per  vizi  del  procedimento  di
notifica (che  non  vengono  punto  sollevati);  ne'  contestando  la
pretesa erariale (che viene espressamente accettata), bensi' riguardo
al compenso di riscossione; 
        poiche' il debito portato dalla  cartella  e'  stato  saldato
entro il termine di sessanta giorni, i compensi di riscossione di cui
si discute sono quelli dovuti a prescindere dalla  tempestivita'  del
pagamento, nella misura indicata nella parte in fatto; 
        la questione  al  giudizio  di  questa  Commissione  riguarda
dunque due profili: 
          a) la retroattivita' dell'art. 17; 
          b) la legittimita' costituzionale dell'art. 17; 
        sul profilo a), questa Commissione lo ritiene  infondato:  la
norma e' entrata in vigore il primo gennaio 2009 e benche' i  tributi
di cui si discute risalgano al 2004 e  2005,  occorre  ricordare  che
l'atto impugnato e' stato notificato nel 2011, in un'epoca quindi  in
cui da tempo era in vigore la norma in discorso; norma che  stabiliva
entita' e modalita' dei compensi di riscossione; 
        di  conseguenza  non  si  pone   proprio   un   problema   di
retroattivita'; 
        resta dunque il profilo sub b)  e  quindi  e'  ovvio  che  se
all'art.  17   verra'   riconosciuta   legittimita'   costituzionale,
l'appello di Dolce & Gabbana dovra'  essere  respinto;  se  viceversa
l'art.  17  dovesse  essere  dichiarato  incostituzionale,  l'appello
troverebbe accoglimento; 
        di conseguenza la  cartella  esattoriale  impugnata  verrebbe
dichiarata nulla  limitatamente  alla  parte  in  cui  stabilisce  un
compenso di riscossione anche in caso di pagamento  tempestivo  nella
misura del 4,65% dell'importo, con conseguente obbligo per  Equitalia
Nord di restituire  a  Dolce  &  Gabbana  la  rilevante  somma  di  €
442.557,10. 
    Preliminarmente e' utile ricordare alcuni  principi  in  tema  di
ruolo e di compenso per la riscossione. 
Natura e formazione del ruolo. 
    Il ruolo, che come e' noto e'  un  atto  amministrativo  con  cui
vengono elencate le somme da  riscuotere  per  imposte,  interessi  e
sanzioni, e' il mezzo di riscossione di tutti  i  tributi  (erariali,
locali e regionali) ed anche di alcune  entrate  non  tributarie.  Le
imposte sui redditi in particolare sono riscosse  a  mezzo  ruolo  in
tutti i casi  nei  quali  non  e'  prevista  o  non  e'  avvenuta  la
riscossione mediante ritenuta diretta o versamento diretto. 
    L'Ufficio forma il ruolo iscrivendo le  somme  da  riscuotere  in
base ad un titolo che lo  legittima  alla  riscossione.  Il  titolare
dell'Ufficio (o un suo delegato) lo sottoscrive, anche mediante firma
elettronica, e con cio' gli attribuisce l'esecutivita'. Il  ruolo  e'
quindi consegnato - in via telematica - all'agente della riscossione,
che  da'  comunicazione  ai  contribuenti  delle  singole  iscrizioni
mediante notifica della cartella di pagamento. 
Ruoli provvisori ordinari. 
    In particolare, in ambito di imposte sui redditi e di imposta sul
valore  aggiunto,  dopo  la  notifica  dell'avviso  di  accertamento,
l'Ufficio puo' iscrivere  a  ruolo  meta'  delle  imposte  accertate.
L'avviso di accertamento pero' puo'  essere  impugnato  davanti  agli
organi  della  giustizia  tributaria.  Ebbene,  successivamente  alla
pronuncia giurisdizionale di rigetto (parziale o totale) del  ricorso
e in relazione al contenuto della decisione e  al  grado  dell'organo
giudicante, diventano esigibili ulteriori  frazioni  del  dovuto.  La
sentenza della Commissione tributaria  regionale,  in  specie,  rende
riscuotibile l'intero importo e quindi la differenza tra cio' che  e'
dovuto a seguito di tale pronuncia e quanto gia' versato. 
Compenso di riscossione. 
    L'agente della riscossione ha diritto a un compenso, percepito  a
fronte dell'attivita' di incasso dei crediti, oltre al rimborso delle
spese vive relative alla procedura esecutiva (determinate sulla  base
di una tabella approvata con decreto del Ministero delle finanze, ora
dell'economia). 
    L'art. 17 del  decreto  legislativo  n.  112/1999  (e  successive
modifiche) in vigore a partire dal primo gennaio 2009, quantifica  il
solo compenso di riscossione (escluse  le  spese)  sulla  base  delle
somme dovute dal contribuente per imposte, interessi e sanzioni: 
        nella misura del 4,65% in caso di  pagamento  entro  sessanta
giorni dalla notifica della cartella di pagamento; 
        nella misura del 9% in caso di pagamento dopo sessanta giorni
dalla predetta notifica. 
Incasso di somme dovute direttamente a mezzo di ruolo. 
    Ai sensi della legge 15  luglio  2011,  n.  111,  gli  avvisi  di
accertamento emessi dall'Agenzia  delle  entrate  a  partire  dal  1°
ottobre 2011 sono immediatamente esecutivi. Come  previsto  dall'art.
29  del  decreto-legge  n.  78/2010,  gli  avvisi  devono   contenere
l'intimazione a pagare gli importi in essi indicati entro il  termine
di presentazione del ricorso; ovvero l'intimazione a pagare un  terzo
delle maggiori imposte accertate (ovviamente a  titolo  provvisorio),
nel caso in cui il destinatario dell'atto decida di ricorrere in  via
giurisdizionale. Gli avvisi di accertamento diventano esecutivi  dopo
sessanta giorni  dalla  notifica  e  devono  espressamente  riportare
l'avvertimento che, trascorsi trenta giorni dal termine utile per  il
pagamento, la riscossione delle somme richieste sara'  affidata  agli
agenti della riscossione. 
    In sostanza, il contribuente a cui e' stato  notificato  l'avviso
di accertamento e che decida di pagare entro il termine  di  sessanta
giorni, versera' imposte, sanzioni e interessi  senza  l'addebito  di
alcun compenso di riscossione. Tale compenso  di  riscossione  invece
sara' dovuto  qualora  l'obbligo  di  pagamento  derivi  da  sentenza
(ancora impugnabile o definitiva)  delle  commissioni  tributarie;  e
cio' anche in caso di pagamento tempestivo. E  nel  caso  di  cui  si
discute si tratta della non certo irrilevante somma di € 442.557,10! 
    In sostanza, non aver  pagato  il  dovuto  entro  il  termine  di
sessanta giorni dall'avviso di accertamento, ma aver proposto ricorso
giurisdizionale (ricorso nel quale il  contribuente  potrebbe  essere
dichiarato soccombente  solo  parzialmente),  determina  le  seguenti
conseguenze: 
        pagamento di un compenso (a volte di notevole entita'), anche
in caso di saldo tempestivo, dovuto in questo caso al  concessionario
in assenza di effettiva attivita' di riscossione e per il solo  fatto
di aver ricevuto in via telematica atti e  dati  dall'amministrazione
finanziaria; 
        non deducibilita' dei compensi di riscossione dal reddito  di
esercizio in quanto, a norma dell'art. 109 del  TUIR,  non  inerenti,
ne' di competenza; 
        incremento del costo dei compensi di riscossione per  imposte
subite sugli stessi per non detraibilita' dal reddito di esercizio. 
Profili di incostituzionalita'. 
Articolo 3, primo comma. 
    La norma crea una obbiettiva disparita'  di  trattamento  tra  il
contribuente «A» che, soggiacendo alla  pretesa  dell'amministrazione
finanziaria, decida di pagare la somma  quantificata  nell'avviso  di
accertamento  (lo  stesso  discorso  varra'  in  caso  di  avviso  di
liquidazione) e il contribuente «B» che, decidendo di far  valere  in
giudizio le proprie ragioni, ricorra all'A.G., soccomba (magari anche
solo parzialmente) e venga attinto da una cartella di pagamento.  Nel
primo caso infatti, se il pagamento e' avvenuto nei  sessanta  giorni
previsti, «A» non sara' tenuto ad  altri  oneri;  nel  secondo  caso,
anche  se  il pagamento  e'  avvenuto  entro  i   medesimi   termini,
«B» dovra' versare il compenso. 
    A questa Commissione sembra che la norma in esame sia  quindi  in
contrasto  con  l'art.  3  della  Costituzione,  poiche'   crea   una
disparita' di trattamento obbiettivamente ingiustificata. 
    E non solo; essa appare anche gravemente irrazionale. 
    E' nota l'antica e tormentata  storia  dell'«aggio».  Fu  escluso
nella riforma tributaria del 1971, quando si decise di incorporare  i
vari aggi di riscossione  nelle  aliquote  stabilite  per  i  singoli
tributi, poiche' chi predispose  i  vari  dd.PP.RR.  di  quegli  anni
temeva che un simile onere finanziario a carico del  contribuente  si
ponesse in contrasto con l'art. 3  (e  anche  con  l'art.  53).  Come
abbiamo visto, l'aggio e' successivamente tornato in vita e da allora
codesta Corte costituzionale ha raccomandato  l'effettivo  ancoraggio
della remunerazione al costo del servizio di  riscossione.  E  quindi
necessario verificare se l'art. 17, nella formulazione in vigore  dal
1° gennaio 2009, assicuri tale ancoraggio. 
    Ebbene,  nel  caso  di  pagamento   tempestivo   l'attivita'   di
riscossione dell'agente si riduce di fatto a ben poca cosa:  ricevere
sul  proprio  sistema  informatico   un   file   dall'amministrazione
finanziaria;  stampare  una  cartella,  prodotta   dal   sistema   in
automatico; notificarla al contribuente; attivita'  che  peraltro  si
riduce ad affidarla al  postino.  Nel  caso  di  specie,  per  questa
attivita', per cui si saranno impiegati pochi secondi, Equitalia Nord
s.p.a., forte della norma di cui si lamenta l'incostituzionalita', ha
ricevuto un «compenso» di quasi mezzo milione di euro! 
Articolo 24, primo comma. 
    La norma che attribuisce all'agente il diritto ad un compenso  di
riscossione anche in assenza di  effettiva  attivita',  ha  l'effetto
indiretto - certo non voluto, ma indiscutibile  -  di  dissuadere  il
contribuente dal far valere le proprie  ragioni  davanti  all'A.G.  A
saldare il dovuto subito, infatti, si risparmiera' quel  compenso  di
riscossione a cui si sarebbe tenuti se si dovra' pagare a seguito  di
decisione  dell'  A.G.  Non  pare  del  resto  che  si  tratti  degli
inevitabili  costi  connessi  alla  scelta  della  via   contenziosa.
All'onere  del  contributo  unificato  e  all'alea  della   eventuale
condanna  alle  spese  di  lite,  infatti,  si  aggiungera'  per   il
ricorrente l'ulteriore costo del compenso  di  riscossione.  Andrebbe
infatti ricordato come si tratti di un meccanismo che si mettera'  in
moto anche nel  caso  in  cui  la  giustizia  tributaria  abbia  solo
parzialmente condannato il ricorrente; un meccanismo al quale  costui
non  potra'  in  alcun  modo  sottrarsi,  poiche'   l'amministrazione
finanziaria non prevede avvisi bonari antecedenti  alla  trasmissione
degli atti all'agente delle riscossione e poiche' non esiste  nemmeno
un canale nel quale il contribuente soccombente possa convogliare  la
somma che la Giustizia ha stabilito come dovuta. 
    Questa norma dunque, che scoraggia i contribuenti,  anche  quelli
dotati di buone ragioni per reagire alla  pretesa  fiscale,  pare  in
contrasto col principio costituzionale che  assicura  il  diritto  di
ciascuno  di  chiedere  all'A.G.  la  tutela   dei   propri   diritti
soggettivi. 
Articolo 97, primo comma. 
    Gli articoli 6 e 10 dello Statuto del  contribuente  stabiliscono
che «i rapporti tra contribuente e amministrazione  finanziaria  sono
improntati al principio della collaborazione  e  della  buona  fede»,
principio che nel caso di  specie,  non  viene  osservato  in  quando
l'Ufficio  procede  alla  iscrizione  a  ruolo  senza  alcuno  invito
preventivo. La conseguenza e' il contrasto della norma in  esame  con
il principio costituzionale secondo cui gli  uffici  pubblici  devono
essere organizzati in modo tale che sia  assicurata  l'imparzialita'.
Va infatti osservato che ai sensi dell'art. 3  del  decreto-legge  30
settembre 2005, n. 203 convertito in legge 2 dicembre  2005,  n.  248
dal primo ottobre del 2006 sono soppresse  tutte  le  concessioni  di
riscossione e l'imposizione diretta e  indiretta  dello  Stato  viene
affidata dall'Agenzia delle entrate a Equitalia s.p.a.,  un  soggetto
di diritto privato, ancorche' partecipato dallo Stato. Ebbene, ci  si
domanda  come  possa  esservi  imparzialita'  quando  ad  esso  viene
attribuita una posizione di preminenza  e  di  favore  nei  confronti
della  platea   dei   contribuenti   e   degli   stessi   concorrenti
nell'attivita' di riscossione, facendolo beneficiare di  compensi  di
tale entita' in assenza di una corrispondente attivita' di impresa (e
dei relativi costi) effettivamente svolta. 
L'ordinanza della Corte costituzionale n. 147 del 2015. 
    E' noto come  codesta  Corte  costituzionale  abbia  respinto  le
eccezioni di costituzionalita' della medesima disposizione  di  legge
sollevate dai giudici tributari di Torino e Latina. In particolare  i
giudici di Torino avevano rilevato il contrasto dell'art.  17  citato
con l'art. 3 e con l'art. 97; quelli di Latina  con  l'art.  3  e  in
entrambi i casi le argomentazioni non erano dissimili da  quelle  qui
sollevate (anche se Questa Commissione ritiene il contrasto dell'art.
17 anche con l'art. 24, come sopra motivato). Ebbene non pare che  le
questioni menzionate siano state affrontate nel  merito,  poiche'  le
ordinanze di rimessione sono state ritenute carenti nella descrizione
della  concreta  fattispecie  e  nel  punto   della   rilevanza.   In
particolare si  e'  sentenziato  che  la  carente  descrizione  della
fattispecie risulta tanto piu' determinante in quanto la disposizione
censurata ha subito diversi interventi normativi e  solo  un'adeguata
esposizione di tutti  gli  elementi  essenziali  del  caso  in  esame
avrebbe consentito di individuare con certezza la versione  dell'art.
17 applicabile «ratione temporis». 
    Ebbene: 
        nella parte in fatto si e' chiarito che il ricorso contro  la
cartella esattoriale concerne il compenso di riscossione; 
        ivi si e' indicato che la norma della  cui  costituzionalita'
si discute e' l'art. 17 del decreto legislativo  n.  112/1999,  nella
versione in essere dal 1° gennaio 2009 in forza del decreto-legge  n.
185/2008, convertito in legge n. 2/2009; 
        norma a fondamento di quella parte della cartella esattoriale
impugnata dalla ricorrente; 
        in particolare si e' specificato che  la  sorte  del  gravame
dipende dalla «sorte» dell'art. 17 citato. 
    Si  ritiene   quindi   che   questa   volta   la   questione   di
costituzionalita' sia stata  correttamente  sollevata  e  che  meriti
l'esame di codesta Corte costituzionale.